Bookchiacchierando: La fragilità sul palcoscenico e 50 motivi per amare Leopardi

Considerando che ho pubblicato giusto ieri la recensione di L’arte di essere fragili di Alessandro D’Avenia e che mi trovo ancora nella fase in cui continuo a pensarci e a rifletterci su, ho fatto un bel giro in rete partendo proprio dal blog dell’autore Prof 2.0 (che vi consiglio di nuovo) e passando poi per varie interviste e recensioni.
Ho trovato così spiegazioni e approfondimenti molto belli che non potevo fare a meno di condividere qui sul blog e che credo possano dare un’idea generale del libro meglio di quanto sia riuscita a fare io.

La fragilità sul palcoscenico

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Credo che la maggior parte dei lettori sappia già questa cosa  io avrei voluto parlarne prima, ma allo stesso tempo volevo prima finire di leggere il libro. Quindi, dopo mesi, mi ritrovo a scrivere dello spettacolo teatrale a cui D’Avenia ha dato vita. Si tratta di un racconto teatrale, che porta sul palcoscenico il libro stesso. Il tour è iniziato il 15 Novembre a Milano, e da allora si sono succedute date in tutta Italia, da Palermo, a Torino, a Bologna… Le date vengono pubblicate poco a poco, quindi sto sperando con fortemente in uno spettacolo a cui potrò andare.
I biglietti sono gratuiti, ma i posti limitati in base alle prenotazioni online.
Le prossime date (per le quali i biglietti non sono ancora stati messi in vendita) sono:

  • 18 APRILE 2017 Napoli – Teatro Diana – 21.00
  • 12 MAGGIO 2017 Reggio Emilia – Teatro Ariosto – 21.00
  • 31 MAGGIO 2017 Roma– Teatro Eliseo – 21.00

Prima di questa c’è anche una data a Genova, ma credo che i biglietti siano già terminati. Vi lascio i link a due video molto belli che mi hanno fatto sperare ancora di più. Le foto qui sopra, invece, sono dell’ultima data del 6 Febbraio di Bologna.

VideoLe prove – La prima teatrale a Milano


50 motivi per amare Leopardi

Questo elenco l’ho trovato proprio sul blog di Alessandro D’Avenia ed è stato scritto da lui per Repubblica il 14 Novembre 2016 (qui e qui i link all’articolo diviso in due parti sul suo blog; qui e qui sul sito del giornale). Mi piace perché dà un po’ un’idea di quello che poi D’Avenia ha fatto nel libro, presentare lati inediti e liberarlo dalle costrizioni delle etichette.

  1. Perché ha lottato tutta la vita per tenere insieme verità e bellezza.
  2. Perché al grande intellettuale che gli consigliava di esercitarsi per almeno 20 anni sulla prosa prima di cominciare a far poesia rispose: “Quando io vedo la natura in questi luoghi che veramente sono ameni, mi sento così trasportar fuori di me stesso, che mi parrebbe di far peccato mortale a non curarmene, e a lasciar passare questo ardore di gioventù e a voler divenire buon prosatore e aspettare una ventina d’anni per darmi alla poesia“.12795571_10153822422501438_6338633051463256742_n-460x479
  3. Perché amava nascondersi in soffitta e giocare con l’ombra e la luce sin da bambino, consapevole che la vita è tenerle insieme.
  4. Perché fu il primo a dedicare un verso a un creatore di gelati, di cui andava pazzo: “l’arte onde barone è Vito”.
  5. Perché quando da bambino lo portavano via da una festa o dai giochi con gli amici cominciava a piangere come un forsennato.
  6. Perché ha scoperto che la Moda è la sorella minore della Morte.
  7. Perché ci ha fatto capire che la malinconia è molto di più del pessimismo e non possiamo sbarazzarcene ma solo imparare ad abitarla.
  8. Perché a 21 anni aveva già scritto l’Infinito.
  9. Perché a 21 anni aveva già scritto che non c’è siepe senza infinito e infinito senza siepe.
  10. Perché nessuno come lui ha inveito contro un cuore che non riesce a far a meno di amare e cercare la felicità e perché nessuno come lui ha inveito contro una ragione assetata di verità.
  11. Perché nessuno come lui sapeva che l’immaginazione non è fuga dalla realtà, ma penetrazione e comprensione della realtà.
  12. Perché ha tentato di fuggire di casa scrivendo la lettera che ogni ragazzo dovrebbe scrivere in questi casi.
  13. Perché alla piccolezza preferì sempre l’ardore scomodo della bellezza.
  14. Perché nel 1836 definì l’uomo un “viatore confuso” nella sua poesia penultima.
  15. Perché voleva scrivere una “Lettera ad un giovane del XX secolo”, ma non fece in tempo. O forse sì.
  16. Perché riuscì nella poesia del pensiero e non si accontentò mai del solo pensiero.
  17. Perché creando versi andò oltre le sue stesse conquiste razionali e superò le amare conquiste delle sue Operette morali.
  18. Perché si aggrappò all’amicizia come l’amore più grande.
  19. Perché “Dolce e chiara è la notte, e senza vento” è un endecasillabo capace di allontanare la tristezza.
  20. Perché la sua Luna è quel che resta della Luna a noi che l’abbiamo conquistata.
  21. Perché quasi cieco continuò a comporre e a farsi leggere versi e libri.
  22. Perché tutti gli italiani sono dolcemente naufragati nel suo mare.
  23. Perché nascondeva i dolci vietati dal medico sotto il guanciale e li divorava di nascosto.
  24. Perché scrisse un sonetto alla cuoca Angelina di cui amava sorrisi e lasagne.
  25. Perché come tutti i poeti fu anche ciò che non era: fu Silvia, Nerina, pastore errante, Cristoforo Colombo, passero solitario, ginestra… e lo è tutt’ora.
  26. Perché era soltanto un ragazzo di un paesello della periferia dello Stato Pontificio ad inizio del XIX secolo.
  27. Perché ha spiegato come nascono le sue poesie e quanto tempo gli ci voleva prima di ritenerle perfette, tanto che è una gioia per gli occhi guardare il suo autografo dell’Infinito ora terremotato.
  28. Perché era a volte intrattabile a volte dolcissimo.
  29. Perché odiava le letture di poesia ad alta voce.
  30. Perché aveva una grafia spaziata e slanciata.
  31. Perché doveva procurarsi lavori che non amava per campare.
  32. Perché ha riempito le sue poesie di punti interrogativi come nessuno aveva fatto fino a quel momento.
  33. Perché sapeva che i libri acimg_8476celerano l’anima ma non la sostituiscono.
  34. Perché la sua speranza è lunare: non ci nasconde il notturno della vita, ma vi cerca sempre la luce a cui aggrapparsi.
  35. Perché lottò tutta la vita contro la seduzione del nulla.
  36. Perché non sopportava gli ignari assertori di ideologie vincenti e dominanti.
  37. Perché gli intellettuali del suo tempo lo soprannominavano “ranocchio” come bulletti di scuola media.
  38. Perché consigliava i biglietti della lotteria dicendo che la sua gobba portava fortuna.
  39. Perché ha guardato le stelle come se ogni notte fosse quella di san Lorenzo.
  40. Perché ha insegnato che non esistono cose poetiche e cose impoetiche, ma che la poesia è in un canto di pastore che dialoga con il suo gregge, che un passero solitario o una semplice ginestra contengono tutta la dolorosa poesia del mondo.
  41. Perché fece riparare molte volte il suo vestito blu, per essere più bello quando si innamorò di una donna.
  42. Perché nessuno come lui ha preso sul serio il dolore.
  43. Perché nessuno come lui ha preso sul serio la felicità.
  44. Perché in uno degli ultimi pensieri dello Zibaldone ha scritto delle sue poesie: “Uno dè maggiori frutti che io mi propongo e spero dà miei versi, è il piacere che si prova in gustare e apprezzare i propri lavori, e contemplare da se compiacendosene, le bellezze e i pregi di un figliuolo proprio, non con altra soddisfazione, che di aver fatta una cosa bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui”
  45. Perché ci ricorda che sempre fiorire si può e si deve, anche in mezzo al deserto, perché se le cose fragili come un fiore di ginestra lo sanno fare, anche noi siamo chiamati a fare altrettanto.
  46. Perché amava perdersi per le vie di Napoli e ascoltare le storie della gente comune.
  47. Perché è stato un critico letterario senza altra ideologia che la parola.
  48. Perché sapeva che la parola è la più avveniristica invenzione dell’uomo, soprattutto quando la si trasforma in canto.
  49. Perché ha resistito per decenni alla calunnia di pessimismo ricordandoci che “il cuore sente sempre una gran mancanza, un non so che di meno di quello che sperava, un desiderio di qualche cosa, anzi di molto di più“.
  50. Perché in una sua lettera riduce tutto all’osso: “Io non ho bisogno di stima, né di gloria, né d’altre cose simili. Ma ho bisogno d’amore“.

E in più… un bellissimo cortometraggio e un’intervista molto molto interessante.

3 commenti Aggiungi il tuo

  1. Luca ha detto:

    Anche a me Leopardi piace… ricordo che l’ultimo anno di liceo abbiamo studiato (in contemporanea) Giacomo Leopardi e Arthur Schopenauer, proprio per la questione del pessimismo… buon pomeriggio! 🙂

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    1. Sì, anche noi li abbiamo collegati molto bene durante lo studio 🙂 Buona giornata Luca 🙂

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      1. Luca ha detto:

        Ciao, buona cena e buona serata 🙂

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